photography
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The Logos project is born from the literal meaning of the word “photography” and embraces the oldest technique connected to the use of this medium: to create images by taking the light reflected from physical objects, and projecting this by an optical system onto a light sensitive surface.
Among the multiple meanings that have been attributed to the word “Logos”, my focus goes on the more ancient ones like “word” and “speech”, because the light uses silver halides to express itself. What is obtained from this process is black, so we can assert that light in photography is black, instead of the pure white that dominates the common imagination. Beside the various meanings attributed by Heraclitus to the word “Logos”, we can find “listening” that in this case can be interpreted as the relationship between light and light sensitive surfaces, as well as in the relationship between individual and the photographic process. In the second case, the photographer is the entity able to listen what light wants to express within its dimension, a place where abstraction and reality are in perpetual contrast.
Inside Logos the instrument, the photographic camera, is nothing more than a “box” capable of recording the light on a black & white film. In addition of using the camera in such a primitive way, even the transposition of the image on paper occurs without a tone inversion to emphasize the process at the moment of recording. The final image is not the result of a manipulation that took place later, on the contrary, it reflects exactly what happened at the time of the photographic act.
My aim is to obtain an image where the light is not only the means, but also the subject able to generate his own and multi-faceted writing. A sort of “involuntary painting” generated by the light that settles on a light sensitive surface. An archaic form of writing where the light is isolated from everything that surrounds it, to express its own innate characteristics.
Il progetto Logos prende vita dal significato primordiale della parola fotografia e dal concetto più antico legato all’utilizzo del mezzo stesso: generare immagini attraverso la registrazione delle emanazioni luminose di oggetti fisici, proiettate da un sistema ottico su una superficie fotosensibile.
Logos è da intendersi nella sua accezione primigenia di “parola” o “discorso” in quanto la luce usa gli alogenuri d’argento per esprimersi. Ciò che si ottiene da questo procedimento è il nero, e quindi possiamo asserire che la luce in fotografia è nera, l’esatto contrario del bianco puro che domina l’immaginario comune. Tra i vari significati attribuiti da Eraclito al termine “logos”, possiamo trovare “ascolto” che in questo caso può essere ricercato sia nel rapporto tra la luce e la pellicola fotografica, sia nel rapporto tra l’individuo e il processo fotografico. Nel secondo caso, il fotografo è l’entità in grado di ascoltare ciò che la luce vuole esprimere all’interno della sua dimensione, un luogo dove l’astratto e il reale sono in perenne contrasto.
All’interno di Logos lo strumento, ovvero la macchina fotografica, altro non è che una “scatola” in grado di registrare la luce sulla pellicola in bianco e nero. Oltre ad utilizzare la camera in modo primitivo, anche la trasposizione dell’immagine su carta avviene senza inversione tonale per enfatizzare il processo che ha avuto luogo nel momento stesso della registrazione. L’immagine ottenuta non è il frutto di una manipolazione avvenuta in seconda sede, al contrario riporta fedelmente ciò che è accaduto nel momento dell’atto fotografico.
Il mio obiettivo è quello di ottenere un’immagine all’interno della quale la luce non è soltanto il mezzo, ma è anche il soggetto in grado di generare una grafia propria e multi sfaccettata. Una sorta di “pittura involontaria” generata dalla luce che si sedimenta sul supporto fotosensibile. Una forma di scrittura arcaica dove la luce si isola da tutto ciò che la circonda per manifestare le proprie innate caratteristiche.
FedericoBellini©